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Ancora a Barbiana

Pubblicato il: 09/01/2012 17:44:08 -


La scuola media è una scuola che: non sa dov’è, non sa cos’è, non sa cosa deve fare. La dispersione è uno dei campanelli di allarme di questo stato di cose. Una provocazione, alcuni spunti di riflessione e qualche proposta.
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Era il 1967 quando usciva “Lettera a una professoressa”, l’entusiasmante narrazione dell’esperienza educativa della scuola di Barbiana, promossa e condotta da don Lorenzo Milani, una “provocazione” radicale e ineludibile per il sistema scolastico italiano. Il libro percorre sostanzialmente due piste di lavoro. La prima è testimoniare l’importanza del promuovere la crescita cognitiva, emotiva, sociale delle bambine e dei bambini di prima media fino ad avere di fronte giovani donne e giovani uomini. Significa aver a che fare ogni giorno con proprietà emergenti, guidare l’elaborazione a 360 gradi delle scoperte più entusiasmanti, e delle delusioni più cocenti, purtroppo anche queste a 360 gradi. La seconda è la denuncia di un sistema scolastico che produceva fallimenti formativi, abbandoni.

LO STATO DELL’ARTE

Poteva essere una denuncia per molti aspetti tardiva visto che nel 1962 era già stata approvata la riforma della scuola media, con la costituzione della scuola media unificata, che “Lettera ad una professoressa” non manca di ricordare. E, invece, è, per molti aspetti, una denuncia ancora attuale. Nel 2000, il comune di Torino ha avviato il progetto “Provaci ancora Sam” per il recupero della dispersione scolastica nell’arco della scuola media. Più in generale, nel 2005 la percentuale dei “dispersi” del sistema scolastico europeo è stata pari al 14,9%, in Italia al 21,9%. Non ci si può neppure illudere che la scarsa capacità di recuperare i ritardi abbia come corrispettivo la capacità di coltivare le eccellenze. In questo senso sembrano andare i test OCSE-PISA. Su tutto questo mi permetto di rinviare alle mie riflessioni pubblicate nello “Speciale” di Education 2.0 del 2010.

TENTIAMO UN’ANALISI

Vale dunque la pena tentare un’analisi delle criticità attualmente rappresentata dalla scuola media per l’intero sistema scolastico italiano. La scuola media è una scuola che:
• non sa dov’è
• non sa cos’è
• non sa cosa deve fare.

NON SA DOV’È

Fin dalla collocazione nell’architettura complessiva del sistema di istruzione e formazione, la scuola media si trova nel paradosso: è una scuola secondaria che però appartiene al ciclo primario. Non è un problema da poco, perché l’incertezza sulla collocazione significa anche incertezza sui modi e sulle finalità di approccio alle discipline. Cerco di esemplificare: approccio per grandi aree, come nella scuola primaria? o, piuttosto, approccio per saperi specializzati, come nella scuola secondaria e, progressivamente, fino all’università, dove, del resto, la frammentazione finisce spesso per esplodere?

NON SA COS’È

La scuola media è ancora organizzata come scuola di completamento dell’obbligo scolastico/ formativo: questo è il motivo per cui si chiude con un esame.

In realtà, però, non è così: pur in modi diversi l’obbligo scolastico/formativo continua dopo la scuola media. Perché, dunque, continuare a pensarla, e costringerla a pensarsi, come qualcosa che non è più?

NON SA COSA DEVE FARE

Il dato più significativo per spiegare questo nodo mi sembra sia la co-presenza, alla fine della terza media, degli esami tradizionali e dei test di certificazione delle competenze. In realtà, così, si pensa a una scuola “divisa”, a cui non si sa se affidare la formazione di conoscenze, gli esami, o di competenze, tendenzialmente i test INVALSI, come schemi mentali più o meno complessi di interpretazione e di intervento sulla realtà. Da questo punto di vista potrebbe non essere casuale l’emergere di differenze spesso non insignificanti tra i risultati degli esami e i risultati delle prove INVALSI. Il problema è che una scuola che deve insegnare competenze esige metodi, strumenti, risorse umane, diversi dai metodi, dagli strumenti, dalle risorse umane utili alla scuola finalizzata alla formazione di conoscenze.

LE PROPOSTE ? DOV’È?

È in continuità epistemologica e formativa con l’approccio per grandi aree disciplinari, di cui il nostro sistema di istruzione sottovaluta pesantemente il valore fondante, sia formativo sia epistemologico, sia metodologico:
• Il valore formativo: studiare/ricercare per grandi aree di significati permette agli alunni di imparare di più e meglio in quanto li mette in condizioni di attribuire un senso agli apprendimenti;
• Il valore epistemologico: non è forse vero, per esempio, che la ricorsività percorre insieme la matematica, la musica, le arti visive (Hofstadter 1984) e che il governo epistemologico della complessità passa anche attraverso la costruzione del pensiero multidimensionale, capace di ricondurre ad articolata unità le specializzazioni dei saperi (Morin 1985)?
• Il valore metodologico: l’incontrarsi-integrarsi-meticciarsi transdisciplinare (Morin 1999) proprio del lavoro laboratoriale permette lo sviluppo di effettive capacità di ricerca e di fare della scuola un luogo di sintesi “intelligente” dei saperi scolastici e l’esplorazione/approfondimento degli interessi culturali non scolastici, spesso sorprendentemente ricchi e approfonditi dagli alunni.

La soluzione di ingegneria curricolare che si trovasse per definire questa continuità dovrebbe comunque tener conto di due elementi. 1) La necessità di costruire questa continuità di approccio epistemologico/formativo/ metodologico anche a livello di scuola superiore, riconoscendo l’effettivo integrarsi delle scienze – penso, tra l’altro, alla chimica, alla fisica, alla biologia, alle scienze computazionali – e la pervasività di alcuni paradigmi fondanti i saperi di un’epoca. 2) pensare che bastasse definirla sulla carta senza realizzarla in una “testa ben fatta” degli insegnanti (Morin) sarebbe evidentemente illusorio. Costituire tale continuità potrebbe, comunque, ridurre gli insuccessi e la dispersione e incrementare la formazione dell’eccellenza nella scuola media e lungo tutto il percorso formativo.

LE PROPOSTE ? COS’È

È una scuola a valenza prevalentemente orientativa più che “certificativa”. A questo devono essere finalizzate anche le sue prove conclusive. Questo, probabilmente, contribuirebbe, ancora una volta, a contenere la dispersione e gli insuccessi successivi alla scuola media stessa.

LE PROPOSTE ? COSA DEVE FARE

Una scuola che insegna competenze non può che ridurre drasticamente le ore di lezione frontale, tipica della formazione di conoscenze “chiuse”, e passare decisamente alla didattica laboratoriale (Laporta 1996), alla meta cognizione (Cornoldi 1995). Deve integrare il “sapere cosa” con il “sapere come” e il “sapere verso dove” (Gagné 1989, Margiotta 1997). Probabilmente si scoprirebbe che su queste tracce camminano sia il recupero delle fragilità della valorizzazione delle eccellenze. In ogni caso, infatti, è essenziale l’imparare a imparare (Novak, Gowin 1984). Anche per questo mi permetto di rinviare alle mie riflessioni nello “Speciale” di Education 2.0 del 2010.

SULLE RISORSE UMANE

È evidente che tutto questo significa, non poi ma contestualmente, affrontare il problema della formazione degli insegnanti (Morin 1999). Avere una buona scuola senza avere buoni insegnanti è pretesa assurda, non priva di ottundimento del senso organizzativo. Qualsiasi investimento su risorse non umane che non abbia come premessa e come accompagnamento costante l’investimento sulla qualità delle risorse umane è semplicemente, radicalmente, non un investimento ma un costo. In Italia c’è un problema di valorizzazione degli insegnanti. Sarebbe, però, miope pensare che tale deficit si collochi solo a livello di aumento dello stipendio mensile. È altrettanto essenziale colmare il deficit di valorizzazione culturale e professionale.

Eugenio Bastianon

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